In Italia ce ne sono 37 e forniscono energia che equivale al 2% del gas russo. Le 130 discariche impattano otto volte tanto
Scarico e controllo dei rifiuti I rifiuti arrivano nell’impianto di termovalorizzazione, sono scaricati nella vasca di raccolta, controllati e poi convogliati nella camera di combustione.
Combustione dei rifiuti Nella camera di combustione i rifiuti sono bruciati a una temperatura che, per legge, deve essere superiore a 850 gradi centigradi perché bisogna garantire che la combustione sia completa.
Produzione di energia La combustione genera vapore ad alta pressione, che viene immesso in un turbogeneratore per la produzione di energia che può essere sfruttata per ottenere elettricità o teleriscaldamento.
Trattamento dei fumi I fumi derivanti dalla combustione sono trattati attraverso il reattore di assorbimento per abbattere i composti acidi e i microinquinanti (metalli e diossine), i filtri a tessuto che trattengono le polveri come il PM 10 e un catalizzatore che ha lo scopo di abbattere gli ossidi di azoto (NOX). Nei filtri resta il 3-4 per cento circa di ceneri leggere: si tratta di rifiuti pericolosi che vengono smaltiti in sicurezza.
Espulsione dei fumi Dopo essere stati trattati, i fumi sono espulsi in atmosfera attraverso i camini.
Controllo delle emissioni La direttiva Ue 2010/75 fissa i limiti delle emissioni industriali. Gli inquinanti emessi in Italia dai termovalorizzatori hanno valori molto inferiori ai massimi consentiti.
Gestione dei residui Al termine della combustione rimane un residuo solido (pari al 15-20 per cento della massa iniziale) che per la maggior parte è costituito da materiale inerte, come se fosse ghiaia e sabbia, che si usa come additivo per produrre il cemento, mentre un 10 per cento circa sono metalli anche preziosi (oro e argento) che sono recuperati e riciclati.
Discariche battono termovalorizzatori 130 a 37. Volendo metterla sui numeri – e tenendo conto che il primo valore non prende in considerazione quelle abusive – in Italia lo smaltimento dei rifiuti urbani che non si possono riciclare avviene prevalentemente con lo stoccaggio.
Eppure — e lo ha ricordato di recente lo stesso ministro della Transizione ecologica Roberto Cingolani — la normativa europea nella gerarchia della gestione sostenibile del ciclo dei rifiuti prevede esattamente l’opposto e cioè prima la termovalorizzazione, perché permette di recuperare l’energia prodotta attraverso la combustione, e poi come ultima soluzione la discarica. «Le discariche — spiega Filippo Brandolini, vicepresidente di Utilitalia (la Federazione delle imprese di acqua, energia e ambiente) — hanno impatti ambientali molto più alti, occupano spazio per secoli, producono percolati che vanno avviati a depurazione ed emettono gas metano che deriva dalla fermentazione della componente organica del rifiuto che è un gas molto più climalterante della CO2 prodotta dalla combustione (25 volte più impattante). Secondo studi scientifici sotto il profilo del climate change la discarica ha un impatto otto volte superiore a quello di un termovalorizzatore». In base alla mappa realizzata da Utilitalia su dati Ispra (l’istituto per la protezione e la ricerca ambientale che fa capo al ministero della Transizione ecologica), i 37 termovalorizzatori si trovano quasi tutti al Nord e al Centro. L’ultimo nato è quello di Iren Torino, inaugurato nel 2013. Sono passati quasi dieci anni senza che non se sia costruito nessuno. Non solo non se ne fanno più, ma ce ne sono undici in meno rispetto al 2013, perché alcuni impianti sono stati chiusi. L’Unione Europea ha fissato al 2035 gli obiettivi del riciclaggio effettivo pari al 65% e della riduzione del ricorso alla discarica al di sotto del 10 per cento. A che punto siamo? Fonte:direttiva del Parlamento Europeo recepita in Italia con il Decreto Legislativo n. 116/2020
In Italia vengono prodotti oltre 488 chilogrammi di rifiuti urbani a testa (fonte Ispra, anno 2020), per un totale di quasi 29 milioni di tonnellate. Di queste, il 63 per cento è raccolta in modo differenziato e il 20 per cento va in discarica. La parte restante è divisa tra combustione nei termovalorizzatori (6 milioni di tonnellate all’anno) oppure esportata. Fonte: Ispra - Rapporto Rifiuti Urbani ed. 2021
Secondo un’analisi di Utilitalia per avviare a trattamento la spazzatura lontano dai luoghi dove è prodotta vengono percorsi 62 milioni km pari a 108 mila viaggi di Tir, pari a 40 mila tonnellate di CO2 l’anno e 75 milioni di euro in più sulla Tari, che è pagata dai cittadini: il 90% a carico delle regioni del Centro-Sud.
«Ma attenzione — avverte —Brandolini — la raccolta differenziata ha un 10-20 per cento di scarti e quindi per arrivare all’obiettivo europeo di riciclo al 65% deve salire all’80-82 per cento. Secondo i nostri studi per raggiungere gli obiettivi del 2035 bisogna avviare nei termovalorizzatori altri 2,7 milioni di tonnellate a livello nazionale, ma la necessità è soprattutto nelle regioni del Centro-Sud, dove andrebbero realizzati almeno cinque impianti medio-grandi da 500 mila tonnellate». Nelle scorse settimane il sindaco di Roma Roberto Gualtieri e il presidente della Regione Siciliana Nello Musumeci hanno dichiarato l’intenzione di voler costruire gli impianti (uno per la capitale e due nell’isola), mentre il presidente della Regione Toscana ha detto di non volerne costruire di nuovi.
Il confronto con il testo d’Europa ci coglie in ritardo. La Germania ha 96 termovalorizzatori, la Francia 126. Ma li utilizzano anche Paesi «famosi» per l’attenzione all’ambiente come la Svezia e la Danimarca. A Copenaghen l’impianto ha sul tetto una pista da sci lunga 400 metri con neve sintetica realizzata dall’azienda di Bergamo Neveplast. Fonte: Ispra - Rapporto Rifiuti Urbani ed. 2021
La carenza e la cattiva dislocazione degli impianti (26 impianti su 37 sono al Nord, la Lombardia ne ha 13 e Emilia-Romagna sette, ndr)è la prima causa dei viaggi dei rifiuti lungo la Penisola, con costi in termini economici e ambientali. In base a dati Utilitalia, per trasportare i 2,8 milioni di tonnellate di rifiuti trattati in regioni diverse da quelle di produzione, nel 2019 sono stati necessari 108 mila viaggi di camion, pari a 62 milioni di chilometri percorsi: ciò ha comportato l’emissione aggiuntiva di 40.000 tonnellate di CO2 e 75 milioni di euro in più sulla Tari (il 90% dei quali a carico degli abitanti del Centro-Sud).
Oltre a smaltire i rifiuti che non sono riciclati o riciclabili, i termovalorizzatori attraverso la combustione producono energia che può essere destinata a fornire elettricità oppure teleriscaldamento. Nel 2019, si legge nel «Libro bianco sull’incenerimento dei rifiuti urbani» realizzato dai Politecnici di Milano e di Torino e dalle Università di Trento e di Roma Tor Vergata, al loro interno sono state trattate 5,5 milioni di tonnellate di rifiuti urbani producendo 4,6 milioni di Megawattora di energia elettrica e 2,2 milioni di MWh di energia termica. Complessivamente i 37 impianti generano 616 milioni di metri cubi di gas equivalenti all’anno che corrispondono a circa il 2% del gas che importiamo dalla Russia.
Ma la combustione, oltre a generare energia, produce emissioni. «A parte la CO2, che non inquina ma è climalterante per quanto riguarda la componente fossile — spiega Mario Grosso, docente di Gestione e trattamento dei rifiuti solidi al Politecnico di Milano— si formano altri inquinanti e per questo si mettono sistemi per abbatterli. Tra questi, ci sono il reattore di assorbimento dei gas acidi che funziona con reagenti in polvere quali la calce o il bicarbonato di sodio insieme con carbone attivo (il quale cattura le diossine e i metalli pesanti come il mercurio). Poi filtri che trattengono le polveri (sia quelle che si sono formate nel reattore, sia le polveri inquinanti derivanti dalla combustione come il PM 10). I filtri hanno avuto una grande evoluzione tecnologica e sono molto efficaci: trattengono anche le particelle più piccole. Sono ripuliti in modo automatico e molto di frequente, praticamente in continuo. Dopo i filtri entra in azione un catalizzatore che ha lo scopo di abbattere gli ossidi di azoto (NOX), che si formano in qualsiasi processo di combustione».
Alla fine del processo il gas residuale dal camino deve rispettare i limiti fissati dall’Unione Europea previsti dalla direttiva 2010/75 sulle emissioni industriali. Ogni Stato membro può imporre limiti più stringenti e così è per l’Italia. «Il settore dell’incenerimento — spiega Grosso — ha i limiti più bassi rispetto a tutti gli altri settori e a parità di inquinante possono essere anche 3-4 volte inferiori».
Relativamente ai PM 10, il Libro Bianco evidenzia che il contributo degli inceneritori è pari solo allo 0,03% contro il 53,8% delle combustioni commerciali e residenziali, per gli idrocarburi policiclici aromatici (Ipa) è pari allo 0,007% (contro il 78,1% delle combustioni residenziali e commerciali) e per le diossine e i furani si attesta allo 0,2% (contro il 37,5% delle combustioni residenziali e commerciali). Oltre alle emissioni, dalla combustione dei rifiuti resta anche altro materiale che non brucia, come pietra, porcellana, vetro e metalli. L’85% delle ceneri pesanti prodotte dalla combustione è avviato a processi di riciclaggio, con ulteriori miglioramenti degli impatti ambientali rispetto all’utilizzo delle materie vergini in attività quali la produzione di cemento e la realizzazione di sottofondi stradali.
Oltre alle emissioni, dalla combustione dei rifiuti resta anche altro materiale che non brucia, come pietra, porcellana, vetro e metalli. «Su 100 kg di rifiuti trattati — spiega Grosso — rimane come materiale solido tra il 15 e il 20 per cento del peso. Questo materiale che prima finiva in discarica adesso viene avviato a recupero. In media il 10% di questi 15-20 kg sono metalli anche preziosi contenuti nei rifiuti elettrici o elettronici, come argento o oro in quantità interessanti da estrarre. Il resto è materiale inerte, come se fosse ghiaia, che si usa nella produzione di cemento e calcestruzzo. Nei filtri resta il 3-4 per cento circa di ceneri leggere. Sono rifiuti pericolosi che sono smaltiti, ma si stanno mettendo a punto processi per riciclarle».
In Italia ce ne sono 37 e forniscono energia che equivale al 2% del gas russo. Le 130 discariche impattano otto volte tanto
di Fausta Chiesa Coordinamento infografico: Marcello Valoncini, Pierluigi Serena Realizzazione grafica: Marco Maggioni, Cristina Pirola Sviluppo: Grafici Corriere online